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Emilia-Romagna

In direzione ostinata e contraria

È ancora vivo nella memoria collettiva il ricordo del 23 agosto scorso, quando Josefa Idem - a 43 anni - conquistò l'argento nella finale dei 500 m di K1 femminile alle Olimpiadi di Pechino, con soli 4 millesimi di distacco dalla rivale ucraina.

Josefa Idem premiata alle Olimpiadi di Pechino - Foto: Ufficio stampa Federcanoadi Vittorio Martone


SANTERNO (RA) - È ancora vivo nella memoria collettiva il ricordo del 23 agosto scorso, quando Josefa Idem - a 43 anni - conquistò l'argento nella finale dei 500 m di K1 femminile alle Olimpiadi di Pechino, con soli 4 millesimi di distacco dalla rivale ucraina. Atleta, donna e madre, impegnata da tempo nel sociale e nella lotta al doping e con alle spalle un'esperienza in politica, è anche scrittrice per passione. Gianni Mura, nel suo diario sui giochi olimpici pubblicato su Repubblica.it, ha detto di lei: "Quando guardo la Idem, avrei bisogno degli occhiali da sole. Rimanda sempre qualcosa di brillante". C'è un elemento infatti che rende le sue imprese sportive più significative, dovuto probabilmente al suo equilibrio come persona. Iniziamo da qui quest'intervista, chiedendoci da dove arrivi la capacità di emanare sempre quel "qualcosa di brillante".

"Si tratta di un percorso molto sofferto che parte dall'infanzia e dall'esperienza dell'abbandono da parte di mio padre. Il ricordo di quella situazione è legato anche all'inizio della mia attività sportiva, da cui, peraltro, sono derivati i conflitti con i coetanei maschi, che vedendomi andare più forte di loro non hanno saputo far di meglio che attaccare la mia femminilità. Difficoltà personali che hanno determinato anche un percorso scolastico faticoso. Il risultato è che a dieci anni ero una bambina solare mentre a vent'anni ero ancora una bambina, mortificata da mille problemi di identità. Su questa sofferenza ho avviato poi un lento e continuo lavoro che mi ha portato a trovare soluzioni che mi permettono di convivere in serenità con me stessa".

Uno dei temi che emergono pensando alla tua vita è la grande capacità di gestire impegni diversi: dalla pratica agonistica alla famiglia fino alla politica. Gli elogi che fanno seguito a questa esperienza nascondono forse un fondo di pregiudizio e una domanda latente: come fa una donna a gestire tutto ciò?
"Condivido quest'analisi e penso che sia un lusso ricevere dei complimenti anziché una critica del tipo: 'Bravissima, ma lo farà a costo di trascurare i propri figli'. Questo commento, anche se detto sottovoce, resta spesso presente ed è un pregiudizio che incontriamo noi donne in generale. Per quanto mi riguarda, in realtà non me ne curo più di tanto e provo a fare in modo che il mio esempio contribuisca a combattere questa realtà".

Nel tuo libro "Controcorrente" racconti spesso delle difficoltà derivate da pessimi rapporti con Josefa Idem alle Olimpiadi di Pechino - Foto: Ufficio stampa Federcanoaallenatori poco qualificati. Quanto credi che gli organi ufficiali dello sport italiano investano oggi nella formazione di queste figure?
"Credo che per le federazioni la formazione sia diventata una priorità rispetto al passato. Si potrebbe comunque fare di più, soprattutto attraverso un serio lavoro di confronti internazionali di cui oggi non c'è traccia. Discorso differente va fatto per la qualità di base dell'allenatore negli ambiti federali. L'Italia è per eccellenza il paese in cui non necessariamente la competenza è ciò che spinge a nominare una persona. E questa più che una percezione diffusa è una drammatica verità. Quello che dovrebbe far riflettere è che spesso noi non possiamo vedere i risultati a cui conduce questa situazione. Se io ad esempio fossi sparita a causa dell'incompetenza di un mio allenatore nessuno avrebbe saputo più nulla di me e delle mie potenzialità. L'idea della perdita la si ha quando ti trovi davanti agli occhi un risultato. E chissà quanti risultati non abbiamo visto e non vedremo perché un atleta ha abbandonato lo sport per responsabilità non proprie".

Come giudichi l'operato di un'associazione come l'Uisp, che punta invece ad avvicinare le persone allo sport attraverso una pratica non agonistica e ad una sua lettura come tempo libero e ricreazione?
"Io ho lavorato con l'Uisp per tantissimi anni e penso che si tratti di un'associazione gestita da persone che credono fortemente nel valore dello sport di cittadinanza e che in questo senso si muovono e fanno muovere altre persone. Il lavoro di promozione sportiva che l'Uisp porta avanti, che sia per motivi di agonismo, di benessere o di piacere nello stare in compagnia, è ottimale. Il mio giudizio è quindi estremamente positivo, anche per il lavoro sociale e politico che quest'associazione svolge».

Tu hai riflettuto molto sulle difficoltà di portare avanti un'attività sportiva parallelamente agli studi. L'Italia resta uno degli ultimi paesi europei, insieme a Portogallo e Grecia, per l'attenzione dedicata allo sport nella scuola. Credi che la nostra classe politica sarà in grado di comprendere questo problema e porvi rimedio?
"La tua domanda mette già in evidenza il fatto che la diffusione di una cultura sportiva è una decisione politica. Io ho visto molto di buon occhio la costituzione di un Ministero dello Sport, nonostante fosse 'senza portafoglio', e penso che con Giovanna Melandri siamo stati ottimamente rappresentati. Tant'è che tutte le azioni da lei portate avanti hanno smosso molto sul versante del riconoscimento dello sport come diritto di cittadinanza e la sua presenza nel Consiglio dei Ministri ha contribuito poi a difendere questo settore dai tagli, soprattutto per quanto riguarda le attività motorie nelle scuole. Ora bisognerà vedere quali saranno le conseguenze di una scelta diversa da parte del nuovo governo. E sappiamo tutti che se nella scuola sarà necessario fare delle scelte, sarà l'educazione fisica il settore più a rischio".

Assieme a tuo marito Guglielmo Guerrini sei molto impegnata nel campo della lotta al doping. In Italia si parla molto di questo problema quando emergono casi nel professionismo, trascurando però la realtà delle giovanili. Credi che tale superficialità sia più frutto di disinteresse, di incapacità di gestione o di opportunismo?
"I media rappresentano un caso a sé: seguono infatti la strategia di riportare solo ciò che fa notizia senza sviluppare una sana ricerca giornalistica. Ma gli sforzi in realtà ci sono: il Coni quest'anno ha fatto molta informazione e molto controllo. Il vero problema è che tutta la lotta al doping sta almeno dieci passi indietro rispetto alla ricerca sulle nuove sostanze dopanti. E poi, di fronte a casi di cui ho avuto notizie certe in merito alla scomparsa di provette o alla loro sostituzione, non si può non riflettere su quanto di oscuro venga fatto per difendere degli interessi economici enormi. Il risultato a cui portano questi giochi di potere è sempre quello di far passare la lotta al doping come una farsa, ma bisogna continuare a portare avanti questa battaglia, che passa innanzitutto per quella che deve essere una scelta di vita".

In un articolo sul Corriere della Sera del 25 agosto Aldo Grasso lamentava la scarsa professionalità dei giornalisti sportivi della Rai, rei di trattare lo sport al livello della chiacchiera da bar. Condividi questa critica e ritieni che questa situazione possa ledere al movimento sportivo italiano?
"Per quanto riguarda la critica mi trovi in pieno accordo. Il problema è che questo tipo di atteggiamento è espressione di un movimento sportivo già leso in partenza. Quello che fanno i media è semplicemente rispecchiare tale sistema con una forma di giornalismo che testimonia una mancanza di professionalità e di sensibilità. Io credo che porre delle domande intelligenti sarebbe già un sintomo di amor proprio e del desiderio di far bene il proprio lavoro".

Come giudichi il comportamento della Vezzali a "Porta a Porta" e che idea hai della corsa allo sfruttamento dell'immagine degli sportivi che i media italiani hanno da tempo avviato?
"Per quanto riguarda la Vezzali, non entro nel merito di quello che ha fatto ma dell'effetto che ha prodotto. Innanzitutto dobbiamo cominciare a parlare degli atleti come persone dotate di una propria volontà, visto che la partecipazione a determinati programmi non è frutto di minacce. Il discorso quindi deve necessariamente puntare su un'analisi del sistema dei media, che si basa sull'idea di montare dei casi e far in modo che se ne parli. Per un atleta catalizzare l'attenzione su di sé può voler dire aprire altri percorsi, legati a contratti pubblicitari, sponsorizzazioni etc. con l'idea di sfruttare il sistema. Ma credo in realtà che alla fine sarà sempre questo sistema commerciale a sfruttare te".

Josefa Idem alle Olimpiadi di Pechino - Foto: Ufficio stampa FedercanoaRimango sul "caso Vezzali" e sulla sua proposta durante le Olimpiadi di detassazione dei premi degli atleti. I consensi positivi espressi da alcuni politici rispetto a questa idea rappresentano secondo te una forma di compensazione verso gli sportivi italiani?
"Ecco, la Vezzali in quell'occasione ha toccato la classica punta dell'iceberg. A partire da questo caso, secondo me, bisogna porre una serie di interrogativi più vasti che riguardano la posizione dell'atleta, il suo essere dilettante o professionista, le indennità in caso di infortunio e di maternità, la pensione. E poi ancora domande sul ruolo degli allenatori, cui nessuno riconosce niente e che sono dei precari di primissimo ordine. Rispondere a tali quesiti significa fare una ricognizione dello sport a 360 gradi. Dopo di che possiamo riconoscere che è giusto tassare i premi a patto che tutto lo sport venga inquadrato in modo più professionale. Invece un consenso di quel tipo, che tra l'altro è frutto di un atteggiamento demagogico privo di un'analisi accurata del sistema sportivo italiano, è solamente un contentino".

Nel tuo libro ci sono bellissime pagine dedicate al periodo del cambio di cittadinanza. Quando parli della patria, ricollegandoti al concetto di "heimat" e di "heimliche" (l'idea di nazione come di ciò che è familiare), risolvi con facilità la questione del tuo essere contemporaneamente italiana e tedesca. Quanto ti ha arricchita come persona questa doppia fonte di esperienze e di tradizioni?
"Sicuramente tantissimo. Quella mia riflessione è stata stimolata dall'essermi sentita chiedere se mi sentissi più tedesca o più italiana. Di fronte a questo interrogativo sciocco ho iniziato a pensare a una risposta valida per tutti e, in primo luogo, per me e per il mio equilibrio. Da qui sono derivate delle riflessioni che vanno ben al di là della domanda e della pretesa che tu ti schieri per l'una o l'altra nazionalità. Il punto d'arrivo è stato riconoscere che il concetto di patria non ha alcun nesso geografico e che è necessario, forse un po' per tutti, avere la patria dentro se stessi, sentirsi in pace e trovare dentro di sé un luogo dove poter tornare. Poi forse per tante persone prive di apertura mentale nel giudicare gli altri e nel concepire la vita un po' di sano viaggiare farebbe bene (ridiamo, ndr)".

Siamo di fronte a un tentativo di recupero dell'ideologia fascista sempre più intenso. Nel tuo libro hai parlato del lavoro culturale svolto in Germania per evitare rigurgiti nazisti. Credi che in Italia questo aspetto sia stato trascurato?
"Riguardo alla questione del fascismo, ricordo la famosa battuta di Berlusconi che disse 'Ho cose più importanti di cui occuparmi'. È un'affermazione che rappresenta bene una realtà in cui è impossibile negare che l'analisi storica qui in Italia non è stata fatta. Io credo che solo uno storico possa parlare degli eventuali meriti del fascismo perché con lo stesso ampio respiro può giudicare tutto ciò che esso ha fatto di male. La stessa affermazione, se fatta da un politico, porta a qualcosa di dannoso. Questo fa parte delle basi stesse della demagogia, che si fonda sul far cascare presunte verità su persone non informate affinché siano accettate come valide".

Come giudichi l'affermarsi ormai sempre più palese di sentimenti razzisti in Italia?
"Credo che il razzismo aumenti in relazione a quanto un popolo sta bene o meno. Quando una persona fa fatica ad arrivare alla fine del mese o perde il posto di lavoro sviluppa un odio legato esclusivamente alla propria condizione. Aumenta il disprezzo e aumenta anche la tendenza a fomentare questi sentimenti. Ma la soluzione non è solo economica: dipende anche dal rendere le persone il più equilibrate e giudiziose possibile. È chiaro, quindi, che compito di uno stato è avviare un lavoro culturale in questa direzione, perché l'interesse primario di qualsiasi nazione deve essere fondarsi su persone equilibrate, ben informate e capaci di valutare le situazioni".

Ci lasciamo con il ricordo di quel 23 agosto. In un'intervista alla Rai il giorno prima della gara hai dichiarato: "Ero una donna soddisfatta prima di queste Olimpiadi, lo sarò anche dopo indipendentemente dal risultato". Questa frase mi sembra una professione di quell'equilibrio di cui parlavamo all'inizio. Eppure mi chiedo, parlando con te, come hai vissuto quel secondo posto, che io preferisco definire una "vittoria con quattro millesimi di ritardo".
"La sera della finale mio figlio mi disse: 'Mamma, hai fatto un capolavoro, e come tutti i capolavori ha avuto la sua imperfezione'. Di quella gara per fortuna non ricordo nulla, se non il fatto che naturalmente avrei preferito vincerla. Poi, di fronte all'idea che avrei potuto anche perdere, beh, mi consolo dicendo che almeno ho perso alla grande (ridiamo, ndr). Sono arrivata quarta, sono caduta in acqua, ho vinto per pochissimo, mi mancava vincere un argento con un distacco infinitamente piccolo! Ma la mia gioia è stata sincera anche perché, personalmente, trovo che non ci sia niente di più brutto di un campione che fa il muso quando arriva secondo. Ora però ne ho abbastanza, la prossima volta voglio vincere. Perché è chiaro che non sarei arrivata fin qui e non sarei la persona che sono se non avessi avuto la massima aspirazione: si gareggia sempre per vincere, in ogni allenamento è questo che scatena le energie per semmai spuntarla un giorno. Poi se non la spunti non ci deve essere nessuno - tantomeno te stesso - pronto a buttarti giù dal grattacielo".

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